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LIFETONES ‘FOR A REASON’

‘You do everything for a reason..’
Ci sono canzoni, che anche dopo anni che le hai ascoltate, ti ritornano in mente e ti ritrovi a canticchiarle. Anni delle scuole superiori e la musica degli anni 80. Ovviamente una volta non era come adesso che trovi tutto; non potevi scegliere i pochi dischi reggae che arrivavano ed alle volte non sapevi proprio cosa aspettarti. Le recensioni dei pochi giornali musicali che recensivano reggae, tra cui ‘Rockerilla’, a volte erano avare di informazioni, (non c’erano infatti informazioni di questo gruppo), ma quando nel 1983 mi capitò tra le mani il disco dei Lifetones ‘For a reason’, con in copertina un bel primo piano di una foglia, non me lo lasciai sfuggire. Dopo il primo ascolto, pensai perché una recensione nei dischi reggae? Diverso dai classici che ero abituato ad ascoltare, forse un concept album, con 6 brani 3 per lato. Le composizioni sono tutte strumentali, con solo 2 brani cantati; strizzano l’occhio al dub ‘inglese’, forse anche alla ‘world music’ (che ancora non si chiamava così) con attitudine ‘punk’. Ma chi erano i Lifetones? C’era una foto che ritraeva 2 rasta, (forse l’unica con i due componenti insieme) un nero ed un bianco. Sono Charles Bullen e l’allora quasi sconosciuto Julius Cornelius Samuel aka Dub Judah che per caso s’ incontrano da un rigattiere a Clapham. Prima di bollare questo disco come un ulteriore contributo di un tizio bianco che cerca di dire qualcosa e dare il suo contributo a una musica profondamente nera, spesso con risultati disastrosi, in qualche modo invece questa unione funziona incredibilmente bene. Un album dell’era punk, mal definita, ma artisticamente varia, che palesava la sensazione di solitudine, sconforto ed isolamento dell’era cupa di Reagan e Tatcher, quando le tensioni della guerra fredda non escludevano una guerra anche nucleare.I due erano sicuramente dei polistrumentisti, perché avevano suonato tutti gli strumenti, anche quelli più esotici come nell’orientaleggiante ‘Travelling’. L’aggettivo che per me definiva meglio questo album era ‘strano’. Adesso lo si definisce un album dub post-punk.Però dopo un paio di ascolti, il basso-loop e la voce, neanche tanto bella, ma penetrante come un mantra religioso(adesso si chiamerebbe chanting) di ‘For a reason’ mi alterava abbastanza. “We’ll wake up in the morning, And walk in the bright sunshine. We’ll do everything for a reason. We’ll plant every seed for a reason, We know that we reep what we sew. We’ll eat every meal for a reason, To feed our bodies and grow”. Il disco fù registrato dal chitarrista e cantante Charles Bullen, dopo aver lasciato il trio post Punk ‘The Heat,’(band implose dopo l’uscita del loro disco art-punk,‘Deceit’ 1981) nel 1983 dopo la rielezione di Margareth Tatcher. Gli ultimi esperimenti musicali di Mr. Bullen, secondo me affascinato dal modo di vivere Rastafari, sono con i Circadian Rhythms. Oggi si occupa di attivismo in campo alimentare e sociale. Bullen suona tutti gli strumenti, tranne percussioni, tastiere e batteria, che sono suonate da Dub Judah, produttore ed ingegnere del suono, ancora oggi attivo nella scena inglese.Dal 1990 Dub Judah è il bassista del gruppo Twinkle Brothers. Il disco, che all’epoca non ebbe nessun riscontro, e che non fù pensato per ‘andare nelle charts e vendere’, lentamente acquista valore e nel tempo diventa un cult, raro ed introvabile. Poi nella metà degli anni 2000, l’etichetta Light In The Attic Records’, ristampa non solo tutti i dischi del gruppo punk, ma anche questo album-esperimento di Bullen,sottolineando come in questo progetto:“si siano volute fondere le esperienze post punk e mischiarle con ritmi reggae della comunità locali provenienti dalle West Indian”. Tra le song, oltre a ‘For a reason, ci sono:’’Decide’,uno strumentale con retrogusto world music, e sosta in eco chamber, tastiere e percussioni onnipresenti; clima ed mood londinesi.’Good side’ la song forse con l’aria più punk.‘Distant no object’ è uno strumentale che in qualche modo ricorda il suono di Augustus Pablo con melodica in risalto e batteria e basso martellanti che si perdono forse un po’ nella lunghezza. La stimolante’ Travelling’ con l‘interazione tra clarinetto, percussioni e chitarra in gran parte strumentale, che segna un punto culminante dell’album, sembra una composizione uscita dalla caverna di Ali Babà, ed in tempi non sospetti sembra una composizione dall’etichetta di Peter Gabriel e non sfigurerebbe in nessun compilation di World Music. Naturalmente non possono non venire in mente Mikey Dread, la collaborazione coi Clash; il collettivo dei RAR (Rock against racism), con musicisti reggae e punk, uniti contro la politica di Margaret Tatcher, che aiutano a capire quei momenti di incertezza e lotte. Ora ristampato, l’album ‘For a reason’ , rimane uno strano amalgama di desolazione post-punk miscelato con la cadenza solare del dub reggae, in un mélange di jazz, e altre musiche ‘world”. La loro musica era, come dice nelle note di copertina della ristampa del loro unico progetto insieme, una reazione alla “cultura della morte che c’era” ed in effetti sia ‘Lifetones’ che ‘For A Reason’ sono parole scelte per la loro affermazione di vita e per la forza che emanano. Il 1983 è anche l’anno in cui un’altra band punk che aveva assorbito le sue influenze reggae sulla manica stava pubblicando il loro più importante. album: Synchronicity, ma questa è un’altra storia. Qualcuno osserva che la voce di Bullen, che canta:’ Dust to dust, ashes to ashes, So much to do and to see. Live the life you love, love the life you live Its what we must do.We had to work so hard We had to work so hard We had to work so hard’, ricorda Brian Eno nel suo My Life In The Bush Of Ghosts, ma anche questa è un’altra storia.
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